Il cemento fa parte della nostra storia e della nostra architettura. E ora entra di diritto nel mondo del design domestico. Lo spieghiamo con un racconto.
La bottiglia d’acqua minerale è sul piano cucina in cemento. Mamma la solleva e versa l’acqua in un bicchiere. Mi avvicino a lei e compio la stessa azione. Poi, mentre bevo, passo l’altra mano sul piano. Guardo il suo colore e penso a quando ero piccolo. Con mio fratello, insieme ai cugini, giocavamo in mezzo agli attrezzi lasciati dagli operai che lavoravano per la costruzione di casa nostra. Quando non andavamo a scuola, ricordo che passavamo il tempo a guardare la pala dell’operaio che girava senza sosta per impastare il cemento.
Osservavamo e poi realizzavamo i nostri progetti nella mente. La carta per il progetto era l’immaginazione. La matita era la fantasia. Anche se, la realtà, era altrettanto potente. Vedere quell’impasto grigio, denso come una crema, diventare poi duro come la roccia, ci lasciava a bocca aperta.
A quel tempo mamma era molto giovane e quando perdevamo più tempo del solito a giocare e a fantasticare, sapeva come farci ritornare all’ordine. Ma non era severa, ci lasciava il nostro spazio. Gioco e studio, sempre con equilibrio. Papà era più severo, ma solo in apparenza. Condivideva il metodo di mamma e le lasciava campo libero. Sarà stato questo modo di fare, insieme all’eterno cantiere che fu casa nostra, che sia io che mio fratello, intraprendemmo gli studi d’architettura. I miei cugini, invece, ingegneria.
L’Architettura e la costruzione del futuro
Sono passati molti anni da quando casa nostra fu un cantiere. Ora, io sono sposato e ho tre figli. Mio fratello ne ha uno, ma ha scelto di non sposarsi, o almeno di non farlo subito. È sempre stato ribelle rispetto a me, ma solo in apparenza. A 18 anni sembrava volesse incendiare il mondo. Era convinto di iscriversi a Filosofia. Ma era un fuoco non troppo ardente. L’idea di allontanarsi da me e, soprattutto, di perdere il confronto e l’aiuto continuo che ogni giorno ci davamo, non gli andava giù. E per questo, placato l’animo ribelle nei confronti nel mondo, decise di assecondare l’affetto che provava per me e per gli studi di architettura. Mi confessò, subito dopo aver presentato i documenti per l’iscrizione all’università, cosa gli fece cambiare idea.
«Sai, qualche giorno fa, mentre ritornavo a casa, vidi degli operai lavorare il cemento. Stavano ristrutturando quel casolare alle porte di Firenze. Ripensai alla nostra infanzia e ai giochi fatti insieme. Poi mi fermai di colpo: vidi un blocco di cemento ormai indurito accanto a del cemento fresco. Ebbi come una illuminazione: capii che la nostra forza sta nel prendere le decisioni giuste, non possiamo restare sempre informi e cambiare di continuo. La nostra vera forza consiste nel fare ciò che sappiamo fare. Per cui al diavolo la rivoluzione. Io voglio fare l’architetto, voglio costruire».
Le idee geniali prendono forma
Quelle parole mi lasciarono indifferente e meravigliato insieme. Indifferente, perché ero abituato alle uscite geniali di mio fratello. Meravigliato, perché di fronte a pensieri che consideri geniali, non puoi far altro che meravigliarti.
Mamma mi guarda, ma io non me ne accorgo. «Allora, sogniamo ad occhi aperti?», dice ad alta voce. Esco fuori dal mondo dei ricordi e sorrido. Lei ricambia, ma come al suo solito mi richiama all’ordine: «Guarda, sul piano cucina c’è rimasta dell’acqua. E se fosse stato olio?». Le rispondo: «Mamma, tranquilla, abbiamo scelto il piano cucina in cemento proprio per la sua resistenza». Ma lei, come tutte le mamme, non si arrende: «Sarà come dici tu, ma ti ricordo che è tempo di passare la seconda mano del prodotto protettivo. Fallo entro domani, se no mi senti».
Papà guarda a distanza. Come al solito la lascia fare. Sa che ha ragione. Però, appena mamma si volta, sorride anche lui e con una smorfia sembra dire: «Un po’ di pazienza».